Caldaia a condensazioni: detrazioni e benefici

La spesa varia in base al modello e ai lavori necessari al fine di garantire un maggior risparmio

Cambiare l’impianto di riscaldamento e usufruire delle detrazioni fiscali costa minimo 2.500 euro, che si ammortizzano in circa 5-6 anni. Dopo il cambio dei infissi e la sostituzione della caldaia, è il secondo intervento più richiesto da chi accede agli sgravi del 65% legati all’efficienza energetica. Per usufruire del bonus fiscale, però, occorre installare una caldaia a condensazione, quel congegno che recupera il calore latente dei fumi di scarico reimmettendolo in circolazione.

Su quale modello orientarsi?

Si va dai prodotti più semplici, con comandi simili a quelle tradizionali, a quelli più evoluti, costruiti con acciai speciali, sonda lambda che verifica la combustione e gestibili in remoto da smartphone. Sul costo incide soprattutto l’etichetta energetica, che può essere A o B, mentre la A+ o successive riguardano solo le pompe di calore o le caldaie integrate a pannelli solari.

Quanto costa una caldaia?

Per rinnovare l’impianto in un appartamento con una caldaia da 24-26 kw, potenze più utilizzate, ottenendo preventivi comprensivi di manodopera che vanno da 1.500 a 2.200 euro circa.

Oltre al modello di caldaia, infatti, le altre voci di spesa riguardano gli accessori di regolazione per l’adattamento sull’impianto esistente, il lavaggio chimico dell’impianto stesso e la canna fumaria.

I prodotti a condensazione richiedono un condotto dedicato in acciaio inox o materiale plastico e, nella quasi totalità degli interventi, si deve sostituire o intubare il camino esistente, con costi variabili da qualche centinaio fino a qualche migliaio di euro.

Ecco perché, per un impianto medio, che faccia riscaldamento e acqua sanitaria e una potenza da 24 kw, il lavoro complessivo si aggira sui 2-3mila euro per interventi in zone periferiche, per arrivare anche a 5mila euro.

E il risparmio?

In media, i consumi migliorano del 20-30 per cento. Ma la forbice oscilla a seconda dall’uso e dall’impianto originario.

La caldaia a condensazione mantiene le sue caratteristiche finché i fumi rimangono sotto i 57 gradi, quindi con una temperatura di mandata non sopra i 70°C. Oltre questi valori non condensa più. In altre parole, dà il meglio se accoppiata a pannelli a pavimento o radiatori adatti a basse temperature, mentre è un po’ sacrificata se collegata a termosifoni.

Facciamo qualche ipotesi partendo dalla fascia più alta di costi, 5mila euro. Il 65%, quindi 3.250, si recupera in sede Irpef con dieci rate annuali da 325 euro l’una.

Quanto ai consumi, secondo l’Istat ogni famiglia spende in media 1200 euro l’anno per il riscaldamento a metano. Ipotizzando un risparmio annuo del 20%, quindi 240 euro, ogni anno si otterrebbe un beneficio di 565 euro (325 più 240). Scorporando per semplicità il 65% come se fosse restituito immediatamente (non tenendo conto quindi di inflazione ed eventuali rendimenti alternativi dell’investimento effettuato), i restanti 1.750 euro si recuperano in quasi 9 anni in bolletta. Ma sono parametri variabili. Se i lavori costassero 3.500 euro, con un costo annuo del riscaldamento di 1.400 euro, abbastanza frequente nelle regioni più fredde, avremo un recupero annuo di 507,5 euro (227,5 di detrazione più 280 legati ai consumi).

In questo caso in 7 anni si rientrerebbe dalla spesa, ma tenendo conto delle ulteriori tre rate da incassare si può stabilire un tempo di “buy-back” di 5 anni. In entrambi i casi, è sempre meno del ciclo di vita di una caldaia, che è di circa 15 anni.

Dunque, vale la pena affrontare la spesa anche quando la vecchia caldaia funziona ancora? Direi di sì, perché si aumentano comfort ed efficienza, riducendo l’inquinamento.